“Il cambiamento non è mai doloroso. Solo la resistenza al cambiamento lo è” (Buddha)
La resistenza al cambiamento si riferisce a tutte quelle situazioni in cui, consapevolmente o meno, si finisce per nascondere una più generalizzata tendenza a mantenere inalterata la propria situazione di vita. Vuoi smettere di stare male cambiando qualcosa o vuoi continuare a star male lasciando inalterate le condizioni che hanno generato il problema e quelle che lo mantengono? Ma allora potremmo chiederci: se la condizione in cui sei ti disturba tanto, perché non fai nulla per cambiarla? Aspetti che cada la manna dal cielo? Forse alle persone piace stare, nonostante tutto, nella cosiddetta zona di comfort, ovvero quella situazione che, seppur disfunzionale, è quella che è consueta e quindi conosciuta per la persona, e fonte perciò di sicurezza, seppur una sicurezza malata. Ma cosa succede quando questo equilibrio diventa talmente disfunzionale e le esigenze di cambiamento sempre più forti al punto da generare grande malessere? In questo caso si crederà, erroneamente, che la sofferenza sia generata dalle presunte cause che nel frattempo avremo trovato come giustificazione (i traumi del passato, il padre violento, il lutto della mamma, il licenziamento, il divorzio ecc) quando in realtà la vera sofferenza deriva solo da un cambiamento che non vogliamo accettare. L’uomo in generale è intollerante ai cambiamenti, dai più banali di fuso orario ai più grandi come i passaggi tra le fasi della vita. Ma non si conta il fatto che non solo tutto in natura è cambiamento, ma che senza di esso saremmo fermi all’età della pietra. Se l’uomo primitivo non avesse corso rischi nell’introdurre delle novità ora saremmo ancora alla ruota e alla clava. Se quindi non si accetta il cambiamento non potremo che soffrire, perché, che ci piaccia o no, la vita procede, con o senza il nostro permesso, nella direzione che reputa opportuna per la nostra evoluzione.
Proposte per prepararsi e fronteggiare la crisi
# Fiducia in noi stessi: mantenere la calma e la lucidità per poter fare scelte intelligenti e non frutto di reazioni emotive;
# empatia: ristabilire la fiducia nel prossimo;
# solidarietà: aiutarci l’uno con l’altro anche se fisicamente distanti;
# etica: ricordiamoci che la crisi passerà e che superata saremo persone migliori.
Per molte persone, l’insoddisfazione è una costante. E tante (troppe) sono infelici della vita che conducono. Eppure, non fanno niente per cambiare la loro condizione. In questi casi, un vero e proprio leit motiv è che non è possibile modificare lo status quo, perché uno o più elementi esterni e incontrollabili lo impediscono. Ma nella maggior parte dei casi, il blocco è interiore e gli ostacoli sono il risultato di una serie di convinzioni e credenze che non trovano riscontro (o ne hanno molto poco) nella realtà. Come nasce questa “resistenza al cambiamento”? È possibile superarla? Perché è così difficile cambiare? Anche quando si è insoddisfatti, infelici o si prova vero e proprio dolore, lasciare andare chi si è o ciò che si ha sembra un’impresa titanica. Cosa impedisce di farlo?
Un ruolo cruciale lo gioca quello che può essere chiamato spirito di conservazione. La resistenza al cambiamento ha profondamente a che fare con la paura di ciò che non si conosce. Il concetto è stato espresso con grande efficacia da Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo: “È meglio un male sperimentato che un bene ignoto”. In altre parole, si preferisce una condizione non ottimale, ma che si conosce e si sa gestire, a una che potrebbe essere migliore, ma anche peggiore e per di più completamente nuova. Il rifiuto a prendere dei rischi è direttamente collegato alla convinzione di non essere all’altezza. Cambiare vuole dire sperimentare se stessi su un terreno sconosciuto e questa prospettiva per molte persone è paralizzante. Ma non per una ragione concreta e razionale, bensì perché hanno paura di trovarsi di fronte ai propri limiti e/o a una realtà che non vogliono vedere. In pratica, fanno quello che si chiama overthinking, ovvero si avvitano in un loop di pensieri autosabotanti e depotenzianti che impedisce loro di agire. In definitiva, il cambiamento genera una situazione di stress emotivo che spinge a rifiutare in maniera irrazionale le novità. Ma se l’evitamento di tutto ciò che è spiacevole o richiede fatica può (forse) dare sollievo nell’immediato, a lungo andare rende ancora più vulnerabili, fragili e incapaci di affrontare se stessi e la realtà, con conseguenze potenzialmente molto dannose per la salute mentale e fisica.
Come mettere in pratica il cambiamento
Superare la resistenza al cambiamento richiede tempo, pazienza e una reale volontà di prendere coscienza di sé e di mettersi in gioco. Ma non è un’impresa impossibile. Anzi. È qualcosa alla portata di tutti. Un buon punto di partenza è considerare il cambiamento come un’opportunità, invece che un pericolo o una minaccia. Accettare un nuovo lavoro o un nuovo ruolo è senza dubbio una sfida, ma anche un’occasione per studiare, aggiornarsi, cercare nuove strade, tirare fuori dal cassetto un progetto messo da parte per lungo tempo, per crescere, evolvere e migliorarsi. Abbracciare questo punto di vista porta a capire che nell’atto di cambiare si lascia qualcosa per qualcos’altro, ovvero non si perde nulla e anzi il più delle volte si guadagna. Tale prospettiva aiuta a superare lo spirito di conservazione e a comprendere che l‘incertezza è un rischio accettabile nell’ottica di migliorare la propria condizione. Ma una volta che si apre la mente al cambiamento, in che modo è possibile metterlo in pratica? La chiave per riuscirci sta nello stabilire obiettivi efficaci, ovvero “specifici”, “misurabili”, “accessibili”, “rilevanti” nonché “definibili nel tempo”, che esprimono chi si è e quello che si desidera davvero. Perché, in definitiva, la volontà di cambiare e la motivazione a farlo sono causa e conseguenza della consapevolezza e accettazione di sé e di ciò che si vuole e si ritiene importante.
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